Kimono Flaminia

Kamon – Stemmi di Famiglia

Il Kamon (o Mon) è uno stemma di famiglia che viene tramandato attraverso le generazioni.
La maggior parte si basa su disegni geometrici o floreali, ciononostante alcuni possono rappresentare animali dello zodiaco, uccelli o farfalle.
La maggior parte dei Kamon più popolari deriva da quelli utilizzati in passato dall’aristocrazia, soprattutto dai membri della famiglia reale.
Si ritiene che, in origine i Kamon fossero dei motivi di tessuto utilizzati per indicare l’appartenenza a un clan o a un’organizzazione. Verso il dodicesimo secolo, l’utilizzo prevalente divenne quello di stemma araldico (soprattutto in battaglia).
Dato che la società del tempo era principalmente non alfabetizzata, i Kamon divennero un utile strumento di riconoscimento anche per altre categorie: mercanti, gli artigiani, gli appartenenti a determinati templi e santuari, le troupe teatrali e addirittura le bande criminali.
Vigevano alcune regole sulla scelta e l’utilizzo dei Kamon, sebbene la scelta fosse principalmente dettata dai costumi sociali. Era considerato scorretto utilizzare il medesimo Kamon che era già stato sfoggiato in precedenza da qualcun altro, persino offensivo utilizzare quello di una persona di un’elevata classe sociale. In caso di disputa sui Kamon, le persone di rango inferiore spesso cambiavano i loro stemmi per non offendere quelle di rango più elevato.
La legge proibiva l’utilizzo improprio dei Kamon delle classi dirigenti, come il malvone dei Tokugawa e il crisantemo dell’Imperatore.

Occasionalmente, i capi dei clan permettevano l’utilizzo dei loro Kamon come ricompensa. Ciò veniva considerato un grande onore, al pari di ottenere il cognome del capo.
Non esistono regole precise riguardo al disegno dei Kamon. Solitamente, consiste nella stilizzazione di una pianta, un animale, un oggetto terreno o celeste racchiusa in un circolo. Altri simboli utilizzati sono quelli religiosi, le forme geometriche e i Kanji.
I colori utilizzati sono principalmente il bianco e nero.
Il numero di Kamon (uno, tre o cinque) presenti su un Kimono ne aumenta il livello di formalità e i Kamon stessi possono essere più o meno formali.
La posizione degli stemmi è a discrezione del singolo. Per esempio, le classi dirigenti hanno i Kamon su entrambi i lati del petto, su entrambe le maniche e al centro della schiena. Su un’armatura, si trovano sul Kabuto (elmetto), sul do (corazza), sulle bandiere, ecc.
Infine, è possibile vedere dei Kamon su cassettoni, tende, ventagli e altri oggetti importanti.
Come in passato, l’utilizzo dei Kamon non è regolato da alcuna legge, fatta eccezione per il crisantemo imperiale e il Paulownia.

TIPI DI KAMON
Cho (ちょう) – Farfalla

Il motivo di farfalla era fra i preferiti dei Kamon aristocratici all’inizio del periodo Nara (710-794). Il motivo per cui veniva scelto era per la sua grande eleganza. Anche prima dell’evento degli stemmi araldici, i guerrieri spesso avevano raffigurazioni di farfalle sulle loro corazze.
Durante l’alto periodo feudale, quando gli spargimenti di sangue erano al loro culmine, paradossalmente la farfalla divenne molto popolare fra le nuove famiglie di guerrieri che sceglievano per la prima volta uno stemma. Essa raffigurava soprattutto l’altro lato della dura vita del guerriero: la sua sensibilità verso gli aspetti più gentili della vita di corte.
La famiglia Okochi usava la farfalla in volo (fusencho) per celebrare la sua città d’origine, Fusencho nella provincia di Mikawa (attualmente metà orientale della prefettura di Aichi).
Fra tutti i motivi basati su creature viventi, la farfalla è di gran lunga il più popolare.

Tsuta (つた) – Edera giapponese

Il motivo di tsuta è uno dei più popolari e costituisce un ottimo esempio per capire le varie ragioni che portano a scegliere un disegno come stemma personale.
Nell’antica letteratura giapponese, l’edera era apprezzata per la sua bellezza. Similmente all’iris e al crisantemo, venne originariamente adottata come decorazione per i costumi e l’arredamento dell’aristocrazia. Secoli più tardi, assunse particolare prestigio poiché venne adottata da famiglie importanti quali il clan Matsudaira e dallo stesso shogun Tokugawa Yoshimune.
Col passare del tempo, l’edera giapponese divenne molto popolare anche fra le donne dei quartieri del piacere: esse, infatti, ammiravano non solo la bellezza della pianta, ma anche la sua capacità di resistere e prosperare avvinghiandosi ad altri corpi.
Alcune famiglie, come la Tsutagi, adottarono questo stemma per via del loro cognome.
Narra una storia, probabilmente apocrifa, che una famiglia di guerrieri adottò l’edera come stemma poiché il loro patriarca si salvò da una caduta fatale in un dirupo proprio aggrappandosi a una di queste piante.
Graficamente, la foglia d’edera assomiglia molto sia a quella d’acero che a quella d’uva.

Ume (うめ) – Fiore di pruno

In Oriente, il fiore di pruno non rappresenta solamente la bellezza. Delicato e fragile, è uno dei primi fiori a sbocciare all’inizio dell’anno, nonostante il gelo invernale. Per questo motivo, è uno dei “tre compagni del freddo intenso” della tradizione orientale, insieme al bambù e al pino.
A questo fiore viene riconosciuta una grande utilità: i suoi frutti sono commestibili, viene usato come medicina e dai boccioli del lucente pruno rosso viene estratta una tintura.
In Giappone, ha anche un significato religioso e commemorativo.
I poeti cinesi hanno elogiato a lungo il fiore di pruno, presto imitati da quelli Giapponesi: in un’antologia dell’VIII secolo, i riferimenti al fiore di pruno (Man’yoshu) sono il doppio di quelli al fiore del ciliegio.
Le cronache dell’antico Giappone riferiscono di festività associate allo sbocciare del pruno sin dal 730 e come motivo decorativo era già usato nel periodo Nara (710-794).
Questo motivo era già molto popolare nel periodo Heian (794-1185), quando veniva riprodotto sui vestiti, sugli oggetti d’arredamento, sui carri e soprattutto sul retro degli specchi.
In alcune versioni di questo Kamon, la raffigurazione del fiore è praticamente indistinguibile da una stella formata da sei cerchi.
L’influenza cinese sul Giappone svanì con il crollo della dinastia T’ang. In quel periodo, il fiore di pruno perse popolarità in Giappone e venne sostituito con il locale fiore di ciliegio (sakura). Ciò divenne evidente nel 960, quando un incendio divampò nel palazzo imperiale, distruggendo l’albero di pruno all’entrata. Quando il palazzo venne ricostruito, al posto del pruno venne piantato un albero di ciliegio.
Nonostante questo nuova ventata di patriottismo esasperato, il fiore di pruno dimostrò la propria resistenza divenendo uno dei motivi più utilizzati nell’araldica giapponese. Questo soprattutto perché Sugawara Michizane lo amava molto.
Michizane fu un uomo di corte della fine del IX secolo, talmente eroico che in seguito venne deificato con il nome di Tenjin, patrono della poesia, della calligrafia e dell’insegnamento.
Il tempio di Temman, dedicato al culto di Tenjin, adottò il fiore di pruno come simbolo ufficiale.
Nei secoli successivi, con il fiorire dell’araldica, molte famiglie lo assunsero come stemma per raffigurare la propria discendenza da Michizane o la devozione religiosa a Temmangu.
Una variazione molto popolare di questo motivo consiste nell’inserimeno di una spada fra i petali del fiore.

Choji (ちょうじ) – Chiodo di garofano

Nel periodo Heian (794-1185), il chiodo di garofano era una merce esotica e costosa, importata in Giappone dalla Malacca e altre terre lontane, e molto ricercata dalle classi sociali più agiate.
Usato per migliorare il gusto e l’aspetto delle pietanze, aveva anche una proprietà medica. Inoltre, si pensava che portasse fortuna se bruciato in una piccola lampada.
Come motivo, ben presto entrò a far parte del takarazukushi (un insieme di simboli associati alla salute, al benessere e alla ricchezza) e venne adottato da molte famiglie.

Kiri (きり) – Paulownia

Il Paulownia è lo stemma araldico più popolare in Giappone ed è ricco di significati storici e leggendari.
Secondo le leggende cinesi, la mitica Fenice (l’uccello dell’immortalità) si posa esclusivamente sui rami di questo albero e si nutre solo di semi di bambù. Basandosi su questa leggenda, i tessuti cinesi sono ricchi di raffigurazioni di questi tre elementi, aggiungendo a volte anche un unicorno al gruppo. A differenza dei primi tre, raffigurati sin dall’antichità sulle vesti imperiali, l’unicorno non è stato tramandato nel design giapponese.
Ben presto, i tre simboli iniziarono a essere usati singolarmente. A partire dal tardo periodo Heian, e per tutto il periodo Kamakura, il Paulownia divenne estremamente popolare in tutta l’aristocrazia.
Come stemma imperiale, è secondo solamente al crisantemo, al quale viene spesso accostato per simboleggiare il trono giapponese. Questo accostamento si sviluppò gradualmente e venne formalizzato solo agli albori del XIII secolo, quando l’imperatore Go-Daigo conferì i due stemmi ad Ashikaga Takauji, fondatore della dinastia di shogun Ashikaga, che mantenne il controllo sull’esercito Giapponese per i 150 anni successivi.
Pur mantenendo il proprio stemma araldico (due linee parallele), lo shogunato Ashikaga (a partire dallo stesso Takauji) iniziò a usare il Paulownia come simbolo del proprio apprezzamento. Diversi daimyō, che appoggiarono il casato Ashikaga, ottennero in premio il diritto di indossare il pregiato Paulownia. Da quel momento, lo stemma divenne simbolo di potere e autorità.
Nel tardo XVI secolo, il geniale e indipendente samurai Toyotomi Hideyoshi riunificò il Giappone e venne autorizzato a utilizzare il Paulownia dall’imperatore in persona. Di origine borghese, Hideyoshi lo adottò come proprio stemma familiare e iniziò a sfoggiarlo, scolpirlo, stamparlo e inciderlo su tutti i colossali progetti edili che disseminò per Osaka e Kyoto. Con una generosità addirittura superiore a quella degli Ashikaga, ne permise l’utilizzo ai suoi più fedeli luogotenenti.
Verso la fine del periodo feudale, molte famiglie avevano ottenuto l’autorizzazione a usare il Paulownia per mezzo di conferimenti ufficiali, permessi ereditati o sotterfugi. Si stima che la povera Fenice avrebbe potuto posarsi su quasi un quinto di tutti i guerrieri del Giappone.
Esistono infinite varianti di questo stemma, ottenute modificando la forma e le dimensioni del bocciolo e delle foglie.

Kikyo (ききょ) – Campanula grandiflora

Il Kikyo (Platycodon grandiflorum) è un fiore indaco a cinque petali che sboccia in agosto ed è una delle “sette piante d’autunno”.
Originariamente, era un fiore selvatico che si trovava soprattutto nella zona di Yoshino, ma gradualmente è iniziata la sua coltivazione nei giardini privati.
Si dice che questo stemma sia stato adottato per la prima volta fra i guerrieri del tredicesimo secolo, soprattutto per la sua bellezza.
Si tratta di uno dei motivi che si prestano maggiormente a un gran numero di variazioni. Addirittura, alcuni artisti sono soliti trasformarlo in altre forme (granchi, farfalle, gru, ecc.).

Tachibana (たちばな) – Fiore di mandarino

Importato in Giappone dalla Cina nel III secolo d.C., il mandarino è stato subito apprezzato per la lucentezza delle foglie, il profumo dei boccioli e i bei frutti succulenti.
Tradizionalmente, veniva esposto insieme al ciliegio davanti alll Shishii-den, il salone cerimoniale del palazzo imperiale di Kyōto. Oggigiorno, i due fiori sono presenti nelle bambole che le famiglie con figlie femmine esibiscono il 3 marzo, in occasione dell’ Hina-Matsuri (la Festa delle ragazze).
Come stemma, il fiore di mandarino è associato all’eminente casato di monaci guerrieri imperiali Tachibana, particolarmente abili con la spada e con il bastone.

Omodaka (おもだか) – Piantaggine d’acqua

Gli stemmi basati sulla pianta e i fiori della piantaggine d’acqua sono divenuti popolari negli ultimi anni del periodo Heian (794 – 1185), principalmente perché la forma insolita delle foglie risvegliò un antico sentimento popolare. Infatti, sin dall’inizio del periodo feudale, ancor prima che i Kamon venissero ampiamente adottati dalle famiglie giapponesi, sulle vesti e le armature di molti guerrieri erano presenti proprio dei motivi raffiguranti la piantaggine d’acqua. Probabilmente, il motivo di questa scelta deriva dall’altro nome dell’omodaka: shogunso, ossia “pianta della vittoria”.
Essendo la preferita dai guerrieri, la piantaggine d’acqua divenne molto popolare e, alla fine del periodo Edo (1603 – 1867), era ampiamente utilizzata come stemma familiare.

Hikiryo (ひきりょ) – Striscia

In antichità, la foglia dell’ossalide era utilizzata per creare pozioni medicinali e per lucidare gli specchi di bronzo; per questo motivo, era anche nota con il nome di kagamigusa (pianta specchio).
Sebbene produca un piccolo fiore a cinque petali, i motivi e gli stemmi la raffigurano sempre come una specie di trifoglio.
Si tratta di un motivo particolarmente popolare come decorazione sui carri del periodo Heian (794 – 1185) e, in seguito, divenne incredibilmente diffusa fra i guerrieri.
Il frutto dell’ossalide contiene molti semi, quindi la pianta si riproduce moltissimo: negli ultimi secoli, i guerrieri che utilizzavano questo emblema consideravano tale caratteristica come un buon auspicio per la futura prolificità delle loro famiglie.
Soprattutto, però, era la convenzione grafica di inserire una lama di spada fra le foglie ad attrarre le classi marziali. Laddove non era presente la lama grande, ne veniva raffigurata una piccola alla base di ogni foglia.

Meyui (めゆい) – Reticolo

Letteralmente, gli ideogrammi che compongono il nome di questo antico motivo significano “nodo a occhio”. Il riferimento è all’antica e costosa tecnica Shibori, che prevede di annodare delle porzioni di capo prima di immergerle nella tintura per ottenere un effetto chiazzato.

Mokko (もっこ) – Anguria

L’etimologia di questo motivo molto antico e popolare è controversa. Esso venne usato negli abiti di corte in Cina nell’epoca T’ang, ma è stato portato in Giappone nella seconda metà del VI secolo (quindi PRIMA dell’epoca T’ang) ed è stato subito adottato con entusiasmo negli abiti delle corti giapponesi.
Probabilmente, il nome originario deriva da un velo decorato (misu no mokko), che veniva posto davanti alle persone importanti per celarne la vista ai “comuni mortali”. Da qui, il nome mokko è stato estrapolato e affibbiato al motivo.
Nei secoli successivi, la provenienza del nome è stata dimenticata e, per scriverlo, sono stati utilizzati gli ideogrammi di un altro mokko: l’anguria.
Si ritiene che ciò sia accaduto perché il disegno ricorda la sezione di un cocomero.
Inoltre, a volte esso viene chiamato ka, ossia “nido”, per la sua somiglianza con la posizione circolare delle uova all’interno di un nido (per esempio quello dell’allodola).
Oltre 150 famiglie, all’oscuro di tutte queste controversie, adottarono il mokko come stemma familiare.
Spesso, l’emblema includeva una raffigurazione del fiore nazionale cinese (il fiore di susino a cinque petali).

Takanoha (たかのは) – Piuma

Nell’araldica giapponese, il motivo della piuma rappresenta nello specifico il piumaggio del falco, molto apprezzato dai guerrieri per la sua fierezza e lo spirito combattivo.
Durante il periodo feudale, gli ufficiali erano soliti esibire la piuma di falco al lato dell’elmo. Molti templi, per esempio quelli di Higo e Aso, hanno adottato questo Kamon come emblema ufficiale, aggiungendogli così una dimensione religiosa, grazie alla quale esso venne scelto nei secoli a venire da numerose famiglie.

Kashiwa (かしわ) – Quercia

Nell’antichità, la foglia di quercia veniva utilizzata come piatto per servire. Per questo motivo, presto venne associata alle offerte agli dei.
Inoltre, era collegata ai templi di Kumanu, Kasuga e Izu.
Verso la fine del periodo Heian, la quercia era considerata la residenza delle divinità forestali e boschive.
Si tratta di uno degli stemmi più popolari fra le classi guerriere, in particolare quelle devote a Shinto.
La foglia di quercia (kaji-ba) era utilizzata come stemma commemorativo da parte della famiglia Matsura, residente nella Kaji-tani (Valle della Quercia) a Hirado, una città portuale su un’isola al largo delle coste di Kyūshū.

Tomoe (ともえ)

L’origine e il significato del Tomoe restano tuttora sconosciuti e sono oggetto di controversia.
Yorisuke Numata, la massima autorità giapponese riguardo ai motivi araldici, ha stabilito che l’originale disegno a “virgole” è apparso originariamente su una protezione di cuoio indossata dagli arcieri sul polso sinistro per attutire il colpo della corda dopo aver scoccato la freccia. Il nome di questa protezione era tomo, per cui il motivo ha preso la denominazione di tomo-e.
Altri studiosi riferiscono dell’esistenza di uno schema simile in altre parti del mondo, per esempio in Cina e Corea, fra i Baschi in Spagna, in alcune tribù della Siberia e in alcuni simboli para-religiosi nell’antica Grecia ed Egitto. Tutti sono concordi nel notare la somiglianza con i gioielli magatama, a forma di virgola, ritrovati in tombe preistoriche giapponesi. Secondo una delle teorie più accreditate, il tomoe risale alla raffigurazione dei serpenti nell’antica Cina. Una recente interpretazione lo accomuna all’antica credenza secondo cui il serpente è parte della cosmologia dello yin-yang.
Gli studiosi concordano anche su un particolare sorprendente: il tomoe non è uno dei motivi fondamentali dell’antico Giappone, ma si diffuse intorno al X o XI secolo. Sebbene sia stato scoperto recentemente un disegno risalente alla metà del periodo Nara (710-794), il tomoe è assente dalla vasta collezione di tesori di questo periodo, conservati nelle collezioni Shoso-in del Museo Nazionale di Nara. Ciononostante, una volta introdotto, il motivo divenne così popolare che, per la fine del periodo feudale, era secondo solo al Pawlonia come stemma familiare preferito.
Nel tardo periodo Heian (794-1185) era di gran lunga la decorazione più diffusa sotto le grondaie e sule tegole dei tetti dei templi: infatti, si riteneva che il disegno, ricordando un “ciclone”, fosse un amuleto in grado di rendere impermeabile la struttura. Contemporaneamente, il motivo era diventato un ornamento personale molto amato. Per questi due motivi, assunse una connotazione religiosa. Nel periodo del conflitto feudale, questo significato divenne ancor più evidente, in quanto il tomoe era il simbolo personale di Hachiman, il Dio della Guerra.
Come strumento araldico, non era solo un disegno dinamico ed elegante, ma possedeva anche delle qualità religiose e marziali molto ambite.

Hanabishi (はなびし) – Fiore a losanga

Il Karabana (fiore cinese) e l’Hishi (losanga) sono i motivi tessili giapponesi più antichi. La loro naturale fusione ha dato origine al fiore a quattro petali Hanabishi. In generale, la losanga è uno dei motivi araldici giapponesi più popolari.

Take (たけ) – Bambù

In Giappone, il bambù è molto importante per la sua versatilità e grazia. Inoltre, viene considerato di buon auspicio.
In origine, venne importato dalla Cina per impreziosire i giardini dei nobili giapponesi. Al momento, si reputa che in tutta la nazione ne esistano circa 150 varianti.
Nel corso dei secoli, la resitenza e la flessibilità di questo arbusto sono stati utilizzati in vari modi: steccati, tralicci, tubature, lance, frecce, flauti, pennelli da scrittura, cesti, scope, copricapo e setacci sono solo alcuni degli oggetti di uso quotidiano creati utilizzando questo materiale.
Il bambù è dotato di caratteristiche incredibili: insieme al pino e al bocciolo di pruno, fa parte dei “tre amici del gelo”. Per la sua resistenza al passare delle stagioni, viene associato a virtù quali costanza, integrità e onore.
Dalla mitologia cinese, il bambù è collegato con la fenice e il paulownia. Infatti, si narra che la regale (e schizzinosa) fenice riposi esclusivamente sui rami del paulownia e si nutra solo di semi di bambù. Basandosi su questa leggenda, i Cinesi svilupparono dei motivi complessi, che includevano tutti e tre i simboli. In seguito, tali motivi vennero importanti in Giappone per adornare i costumi di corte degli aristocratici. Forse è sempre questo il motivo per cui, in Giappone, il bambù è anche un simbolo di purezza e di nobiltà.
Col tempo, il bambù divenne un motivo popolare anche al di fuori delle corti: appare in molti rotoli dipinti del periodo Heian e sulle carrozze a partire dal periodo Kamakura.
Nel medioevo, era uno dei simboli identificativi dei guerrieri. Nel periodo Edo, era ampiamente diffuso come stemma familiare fra i nobili.
La maggior parte dei motivi basati sul bambù presenta della variazioni nelle foglie. Ciò non solo per riflettere le differenze della pianta stessa, ma anche per la possibilità di imitare altri motivi, pratica comune nell’araldica giapponese. In particolare nel periodo feudale, molte famiglie di guerrieri adottarono la foglia di bambù come stemma per la sua somiglianza con la genziana dei più eminenti clan dei Seiwa Genji.
Le famiglie Kotake e Takenouchi lo adottarono perché nel loro nome includevano quello del bambù (take).

Fuji (ふじ) – Glicine

Il glicine cresce spontaneamente nella regione giapponese del Kansai (Kyoto-Osaka) e, come riferito nel Man’yōshū, era già molto ammirato nel periodo Nara. In seguito si iniziò a coltivarlo, facendolo crescere su alberi e tralicci. Le cascate di morbidi fiori viola scendono dall’alto per creare un pergolato adorabile e profumato. Nonostante fosse così apprezzato, i primi gruppi di persone iniziarono a sfoggiare i motivi di glicine solo durante il regno dell’Imperatore Daigo (897-930) e la moda vera e propria non sbocciò fino all’apogeo del potere del clan Fujiwara nella seconda metà del periodo Heian. Trascritto letteralmente, il cognome Fujiwara significa “campi di glicine” e il clan fece ampio uso di questa pianta sia nei suoi terreni sia come emblema sugli abiti.
Secondo gli alberi genealogici giapponesi, negli ultimi secoli solo una piccola percentuale delle famiglie che discende da questi importanti casati aristocratici utilizza il glicine come stemma familiare principale.
Anche le famiglie devote ai santuari Kumano usano il glicine, poiché è una delle piante associate a quei luoghi sacri.

Myoga (みょが) – Zingiber Myoga

Lo Zingiber Myoga sembra essere una variante di un motivo precedente, raffigurante la nappa di un cavallo. In alcuni casi, i due disegni sono indistinguibili. In linea generale, però, lo Zingiber Myoga ha delle venature sulle foglie, mentre la nappa ha una decorazione semicircolare che ricorda uno sprazzo di sole. Col tempo, il motivo dello Zingiber Myoga è divenuto molto più popolare di quello da cui ha avuto origine.
Uno dei motivi principali di questa popolarità è che permetteva un gioco di parole in giapponese: sebbene scritto con ideogrammi differente, il termine Myoga significa anche “protezione divina”.
Nel periodo dell’alto feudalesimo, questo stemma è stato associato anche ad alcuni templi e divinità buddisti, per cui assume anche un significato religioso preminente.
Si trattava infatti di un periodo di grandi conflitti feudali, quindi una protezione divina di qualsiasi tipo era ampiamente auspicata.

Hashi (ほし) – Stella

Nella società giapponese del periodo Nara (710-784) ed Heian (794-118), l’astrologia di derivazione cinese gioca un ruolo molto importante. Ognuno possedeva la sua stella guida, data dal giorno della nascita. Stelle e costellazioni erano ritenute capaci di avere influenze benefiche e ognuno possedeva la sua stella guida, data dal giorno della nascita.
Alcune raffigurazionni dell’epoca mostrano che il motivo delle stelle circolari fosse molto comune sugli abiti e sulle carrozze degli dell’aristocrazia.
In seguito, il motivo diventò molto popolare grazie alla classe guerriera che lo adottò per le note ragioni benauguranti.

Wa – Cerchio

Nell’araldica Giapponese, in origine il cerchio non veniva utilizzato da solo ma come cornice per gli stemmi.
Via via, nel corso degli anni, è divenuto un simbolo a se stante.
All’inizio del periodo feudale, solo una piccola percentuale di stemmi veniva rappresentata con la cornice.
Alla fine del periodo Edo (1603-1868) invece, quasi 1/3 di tutti gli stemmi di famiglia venivano inscritti nel cerchio.
Il cerchio aveva due funzioni: la prima, di dare più importanza allo stemma contenuto, la seconda di ditinguere i vari casati della stessa famiglia.
Inteso come stemma, il cerchio singolo simboleggia la perfezione, l’armonia, la completezza, l’integrità e la pace.

Arcierìa

Nella letteratura tradizionale Giapponese, la via del guerriero era alle volte chiamata “la via dell’arco e della freccia” (bushi no yumiya no michi) e questi simboli sono velocemente entrati a far parte dell’araldica marziale giapponese. Nonostante il tiro con l’arco fosse una pratica diffusa fra le classi elevate già nel periodo feudale, questo stemma fa la sua comparsa solamente nel periodo Edo (1603-1868).

Kaji (かじ) – Gelso

Anticamente la foglia del gelso veniva utilizzata come recipiente per le offerte di cibo nei templi Shinto e gli abiti realizzati con la corteccia del gelso venivano anch’essi offerti agli dei. I gohei, delle strisce di carta piegate in un determinato modo allo scopo di unire l’uomo alle divinità, si appendono ancora nei templi Shinto per simboleggiare proprio queste offerte. Nel tardo periodo Heian (794-118), le donne di corte utilizzavano la foglia di gelso per scrivere poesie o per celebrare il Tanabata. Tuttavia, furono prevalentemente le associazioni religiose che adottarono il gelso come stemma di famiglia. Moltissimi templi scelsero il gelso come emblema ufficiale.

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