Kimono Flaminia

Storia del Kimono

La storia del Kimono è legata strettamente allo sviluppo dei tessuti giapponesi e delle tecniche di tessitura.

Il Kimono enfatizza il materiale di cui è composto. Al contrario dell’abbigliamento occidentale, che viene tagliato per adattarsi ed evidenziare le forme (eliminando così lo spazio fra corpo e abito), il Kimono viene creato a partire da pezzi rettangolari di seta filata a mano, cuciti insieme per nascondere la forma del corpo. Questo tipo di struttura “a blocchi” rende più facile sostituire i settori logorati del capo e aumentarne o ridurne le dimensioni.

I periodi della storia del Giappone sono i seguenti:

  • Periodo Jomon (10.000 a.C. – 300 a.C)
  • Periodo Yayoi (300 a.C – 300 d.C)
  • Periodo Kofun (detto anche “dei tumuli”) (300 – 552)
  • Periodo Asuka (552 – 710)
  • Periodo Nara (710 – 794)
  • Periodo Heian (794 – 1185)
  • Periodo Kamakura (1185 – 1333)
  • Periodo Muromachi (1333 – 1587)
  • Periodo Momoyama (1587 – 1603)
  • Periodo Edo (1603 – 1867)
  • Periodo Meiji (1867 – 1911)
  • Periodo Taisho (1912 – 1926)
  • Periodo Showa (1926 – 1989)
  • Periodo Heisei (1989 – )

Periodi Jomon (10.000 a.C. – 300 a.C), Yayoi (300 a.C – 300 d.C) e Kofun (detto anche “dei tumuli”) (300 – 552)

La tintura e la tessitura iniziarono in Giappone dopo che il periodo Yayoi (età della pietra) prese il posto del periodo Jomon.

Le prime testimonianze chiare del tipo di abbigliamento indossato in Giappone risalgono al periodo Kofun e ci sono state tramandate grazie alle sculture funebri. Uomini e donne indossavano delle specie di giacche a maniche corte e aperte sul davanti: per la parte inferiore, gli uomini indossavano dei pantaloni, mentre le donne usavano le gonne.

Secondo alcune fonti, fu l’Imperatrice Jingo per prima a importare la seta cinese in Giappone. Secondo altri fu la principessa Sotorihime a introdurne la tessitura nel paese nel quinto secolo.

I materiali tessuti a mano erano classificati a seconda dello spessore o della qualità della trama.

Ogni materiale con disegni diagonali o a onde pieghettate prendeva il nome di “Aya”. Qualsiasi materiale con disegni di diversi colori prendeva il nome di “Nichiki” (broccato).


Periodo Asuka (552 – 710)

I tessuti più antichi di cui possediamo dei reperti tangibili risalgono al periodo Asuka, mentre il primo esempio di industria tessile pienamente sviluppato risale al periodo Nara.

Nel 711, vennero inviati degli esperti nelle province più remote per insegnare agli artigiani a creare la seta, il broccato e la tessitura diagonale.


Periodo Nara (710 – 794)

Durante il periodo Nara apparve il primo capo d’abbigliamento somigliante a un Kimono. Gli aristocratici indossavano degli abiti ispirati alla moda cinese: gli uomini usavano delle giacche aperte, con fessure su entrambi i lati, sopra i pantaloni; le donne indossavano delle giacche corte sopra delle gonne ampie.

Gli abiti della gente comune erano molto più semplici: per facilitare il lavoro nei campi, sopra ai pantaloni gli uomini indossavano dei capi molto somiglianti ai Kimono, con maniche strette e legati con fasce; anche le donne indossavano dei capi somiglianti a Kimono, sovrapponendo il lato destro al sinistro (al contrario dell’usanza attuale), e abbinandoli a una corta sottoveste e a una gonna.


Periodo Heian (794 – 1185)

Durante il periodo Heian, il potere degli Imperatori si era indebolito e le relazioni con la Cina erano sospese.
Come risultato, il Giappone poté sviluppare un proprio senso artistico.
Il ricco broccato cinese venne sostituito da strati pesanti di Kimono. La moda del tempo prevedeva dei disegni piccoli e regolari. Accenni di varie sfumature di colore si trovavano sul collo, sulle maniche e sull’orlo dei capi più ricercati, mentre sottili variazioni cromatiche si adattavano alla stagione in corso.
L’aristocrazia dell’epoca indossava delle lunghe vesti con strascico, chiamate “sokutai”. Le maniche erano grandi e aperte in fondo. 
Al di sotto, si trovava una sottoveste (“Kosode”), che è la diretta progenitrice del Kimono moderno.


KOSODE

Gli uomini indossavano il “noshi” nelle occasioni formali e il “kariginu” nella vita di tutti i giorni. Entrambi i capi rimanevano aperti sul davanti, erano molto larghi e possedevano lunghe maniche che arrivavano fino alle ginocchia. In aggiunta, potevano usare l’Hakama o un pantalone lungo e largo.
Nelle cerimonie formali, le dame di corte indossavano il “juni-hitoe”, (“dodici strati”, anche se poteva arrivare a contarne fino a venti). Tale moda portò all’apprezzamento dei colori e delle loro combinazioni, generando un’estrema cura nell’abbinamento e l’armonizzazione delle tonalità dei vari strati. Lo strato più vicino alla pelle era una sottoveste semplice. Al di sopra si trovava una veste sfoderata (“hita”), seguita da un insieme di vesti con fodera di vari colori (“sugimi”). Procedendo verso l’esterno, c’era una veste (“uchiginu”) seguita da un mantello (“uwagi”). In aggiunta, nelle occasioni più formali, potevano essere aggiunti uno strascico molto lungo (“mo”) e una giacca.

Questi Kimono richiedevano molta materia prima, cosicché i tessitori dovettero sviluppare dei metodi più semplici e rapidi per soddisfare la domanda. Ovviamente, questo portò a un deterioramento della fattura: da una tecnica complicata si passò a una tessitura grossolana e a disegni ripetuti.

Vennero redatte circa 200 regole per stabilire la combinazioni dei colori dei kimono, come armonizzare quelli delle fodere con quelli della parte esterna, ecc. Di conseguenza, alcuni colori furono associati ai mesi di novembre e febbraio e presero il nome di “ume-gasane” (“sfumature del fiore di susino”). Tali Kimono erano bianchi esteriormente e rossi all’interno.

Marzo e Aprile erano associati a una combinazione chiamata “sfumature di glicine” (lavanda all’esterno e fodera blu).

L’estate e la primavera avevano un loro set specifico: la parte esterna dei Kimono era gialla e arancione. I motivi estivi includevano le onde dell’oceano e le foglie rosse d’acero.

I colori iniziarono a rispecchiare le stagioni e gli stati d’animo a esse associati, mostrando quanto la cultura giapponese fosse in sintonia con la natura.

Ovviamente, le regole indicavano anche che cosa NON si dovesse fare, per esempio indossare un Kimono con un fiore di ciliegio in autunno o inverno.

Un’interessante usanza, ancora in voga ai giorni nostri, consiste nel possedere un set invernale e uno estivo e scambiarli in date specifiche (anche se le condizioni climatiche sono ancora immutate). Essa proviene da una legge emanata dall’Imperatore Go-Daigo (1318-1339).

Il Kosode più antico che sia stato rinvenuto risale al 1157 e si trovava nella tomba di Fujiwara Motohira, all’interno di un tempio buddista. Differisce dai Kimono attuali per la presenza di strette maniche tubulari e l’assenza di sovrapposizione frontale.


Periodo Kamakura (1185 – 1333)

A causa degli sconvolgimenti politici dell’epoca, anche lo stile d’abbigliamento fu radicalmente modificato: agli abiti eleganti del periodo Heian si sostituirono delle forme più semplici e i Kimono non vennero più indossati dalla classe dei samurai.

Le donne dei samurai adottarono il semplice Kosode bianco del “juni-hitoe” come abito principale, accorciandone le maniche. L’abbigliamento formale venne relegato esclusivamente alle occasioni speciali. In viaggio, esse non mostravano mai il volto in pubblico, nascondendolo sotto un copricapo chiamato “ichime-gasa“.

Verso la fine del periodo, le donne della classe militare e le dame di corte iniziarono a indossare i pantaloni interi (“Hakama“).


Periodo Muromachi (1333 – 1587)

Durante questo periodo, nuovi tessuti iniziarono ad arrivare dalla Cina Ming. Negli ultimi anni, le navi spagnole importarono lana, velluto e cotone. Ciò permise lo sviluppo di nuove tecniche di tessitura, che si estesero in tutta la nazione.

I guerrieri continuarono ad adottare uno stile sobrio, mentre per le donne il Kosode divenne lo standard. Per le occasioni formali, veniva indossata una veste lunga (“Uchikake“), che in seguito si è evoluta nell’abito nuziale. La gente comune indossava una mantella corta simile all’Haori.

Verso gli ultimi anni di questo periodo, tutte le classi sociali indossavano il Kosode come abbigliamento esterno principale (tranne nelle cerimonie formali).

A questo periodo risale il secondo Kosode per antichità ancora in nostro possesso. È del 1566 e ricorda i Kosode successivi, dimostrando che il modello era in costante evoluzione.

Sono stati rinvenuti altri dodici Kosode dell’epoca, tutti appartenenti a Ueugi Kenshin (1530-1578), un potente feudatario.


Periodo Momoyama (1587 – 1603)

Nel periodo Momoyama, furono introdotti gli elementi pittorici di base e le tecniche di decorazione ancora utilizzati nei Kimono moderni. In pubblico, le donne continuavano a indossare i Kosode; ma le mogli dei Daimyo possedevano capi molto più eleganti ed elaborati.

Grazie al lungo periodo di pace, l’industria tessile poté evolversi ulteriormente e perfezionare il Kosode. La moda si estese a tutti gli strati sociali: la pittura e la tessitura degli abiti non erano più prerogativa esclusiva delle classi superiori. I disegni cambiarono, passando da motivi piccoli e regolari a veri e propri dipinti a mano. Gli uomini indossavano colori più luminosi, mentre alle donne erano riservati i motivi più delicati e le tonalità tenui.

Uno dei maggiori artisti dell’epoca fu Ogata Korin (1658-1716), che dipingeva e decorava personalmente i Kimono. Altri furono Maruyama Okyo (1726-1792) e Ando Hisoshige (1797-1858). Il coinvolgimento di artisti di tale calibro mostra quanta importanza venisse attribuita alla decorazione e al valore artistico dei Kimono.

Il periodo Momoyama è considerato uno dei più produttivi e artistici di tutta la storia del Giappone. Il distretto di Nishijin divenne il centro della produzione tessile, impiegando circa 10.000 tessitori.

Nel corso del 16° secolo, la moda europea sbarcò in Giappone, diventando la più in voga fra le classi sociali elevate.

In questo periodo, si iniziò a produrre un nuovo tipo di broccato (“kara-ori”) e si sviluppò un procedimento (“tsujigahana“) che combinava i ricami tye-dye (letteralmente “annoda e stingi”), con i contorni disegnati con l’inchiostro. Purtroppo, la maggior parte degli abiti che utilizzavano questa tecnica ci sono pervenuti solo in frammenti.

Un altro Kimono del periodo era il jimbaori, indossato esclusivamente dai nobili: si trattava di un mantello corto senza maniche, da sovrapporre all’armatura.


Periodo Edo (1603 – 1867)

In questo periodo, la capitale venne spostata a Edo (che divenne la moderna Tokyo) e la nazione si isolò dalle influenze straniere.

Durante l’ultima parte del periodo, l’ispirazione per le decorazioni dei Kimono iniziò a diminuire: come risultato, vennero ripetuti alcuni motivi del passato.

A questo periodo risale la tecnica pittorica Yuzen, che permette di riprodurre immagini più complesse e realistiche.

L’Obi acquisì maggiore importanza, forse grazie al popolare attore kabuki Uemura Kichiya (anche se potrebbe trattarsi solo di una leggenda).

I samurai di rango superiore indossavano delle giacche sopra i Kimono e gli Hakama. Più avanti, anche gli studenti e gli uomini prestanti adottarono lo stesso stile. Il Kosode divenne ancor più popolare e le mode iniziarono a essere influenzate dagli stili indossati da cortigiani, intrattenitori e attori di Kabuki: come conseguenza, gli abiti divennero sempre più elaborati mentre gli Obi erano semplici per non distrarre dalla magnificenza dei Kimono.

Avendo compreso il potere crescente dei mercanti, gli Shogun emanarono le leggi suntuarie per regolare le spese sui Kosode (la cui produzione era ritenuta esosa)

Alcune di queste leggi erano le seguenti:

  • Controllo su quali abiti fossero appropriati per determinati ranghi e classi sociali.
  • Controllo su quali abiti fossero adatti a determinate occasioni.
  • Controllo sull’età e il sesso della persona che indossava l’abito.
  • I contadini non potevano indossare la seta (non che potessero permettersela, comunque).
  • Solo i nonni potevano donare a un neonato un abito di cotone.
  • Il Kimono leggero estivo poteva essere indossato solo fra il 15 maggio e il 31 agosto. Un abito con fodera era ammesso solo fra il 1 aprile e il 15 maggio. Gli abiti imbottiti erano relegati fra il 9 settembre e il 31 marzo.
  • L’Imperatore indossava vesti cerimoniali a maniche larghe e un Hakama con dodici figure. Altrimenti vestiva in grigio e giallo (se erano presenti dei motivi) o in verde (se i motivi erano assenti).
  • L’Imperatore a riposo indossava una veste giallo-liquirizia o di seta dipinta con un misto di nocciola, chiamato “tsurubami”.
  • I ministri indossavano abiti color tè con motivi semplici.
  • I proprietari terrieri e i nobili di corte indossavano abiti di vari colori. Per quanto riguardava gli ufficiali, le regole erano le seguenti: quelli dal quarto grado in su indossavano abiti color tè; quelli di quinto grado indossavano abiti rossi; quelli di sesto grado indossavano abiti rossi; quelli di sesto grado indossavano abiti verde scuro; quelli di settimo grado indossavano abiti blu scuro; il rango inferiore indossavano abiti azzurri.

I nuovi metodi permisero di ottenere motivi elaborati, simili a quelli delle tecniche proibite, senza violare le leggi suntuarie.


Periodo Meiji (1867 – 1911)

Nel 1868, dopo due secoli e mezzo di isolamento, lo shogunato Tokugawa venne sostituito da una monarchia costituzionale e il Giappone si riaprì al mondo esterno durante il periodo chiamato “Rinnovamento Meiji“.

In questo periodo, furono adottati metodi industriali su vasta scala e tecniche di tintura chimica provenienti dall’occidente. Nel 1857, per la prima volta fu permesso a degli studenti di indossare abiti di stile estero (nella fattispecie, si trattò degli studenti di lingua olandese della prefettura di Saga). Nel 1861, ai marinai fu ordinato di utilizzare uniformi occidentali, seguiti l’anno successivo dagli ufficiali dell’esercito.

Nel 1868 venne introdotto in Giappone l’utilizzo della macchina da cucire, che velocizzò la produzione degli abiti di stile occidentale. Nel 1871, questo tipo di abbigliamento fu permesso anche alla gente comune. Ciononostante, la maggioranza del popolo continuò a indossare abiti tradizionali.

Un fattore che alterò radicalmente la moda fu la guerra sino-giapponese (1894-1895): le donne iniziarono a lavorare fuori di casa, quindi necessitarono di abiti diversi da quelli utilizzati per gli interni.

Verso la fine del periodo Meiji, la situazione cambiò nuovamente e vi fu una reazione contro la moda occidentale.


Periodi Taisho (1912 – 1926), Showa (1926 – 1989) e Heisei (1989 – )

Da quando il Giappone cominciò ad aprirsi alla moda occidentale, ebbe origine uno stile affascinante composto dalla fusione tra il kimono tradizionale e l’abbigliamento occidentale. Di conseguenza, si iniziò a produrre un nuovo tipo di kimono talmente contemporaneo e originale che ancora oggi i moderni stilisti giapponesi riprendono i motivi di questo splendido periodo.
Negli ultimi anni del periodo Meiji, l’industria tessile giapponese fece il primo passo verso la modernizzazione e l’industrializzazione. Nel periodo Taisho, i lavori effettuati con il telaio divennero molto efficienti e produttivi e la tintura chimica generò nuovi colori estremamente brillanti; questo permise ai commercianti di kimono e seta di produrre maggiori quantità di materiale per la produzione di massa, più velocemente e a costi più contenuti. Grazie a questo nuovo clima di libertà (e all’utilizzo della nuove tecnologie) nacquero motivi più fantasiosi: ampi e audaci, dai colori intensi, in netto contrasto con i kimono del passato, le cui decorazioni e i colori erano decisamente più discreti.
Questo modo di decorare rifletteva il morale alto della società giapponese, derivante dal boom economico iniziato durante la prima guerra mondiale. I colori brillanti e i disegni dinamici rispecchiavano uno stile di vita pieno e impegnato, che permise alla moda di divenire estensione ed espressione dell’individualità. L’utilizzo di motivi occidentali, con forti influenze dei movimenti dell’art deco e dell’art nouveau, rese questo periodo estremamente riconoscibile. Le opere d’arte prodotte fra il 1912 e il 1926 costituiscono una breve ma importante transizione tra la tradizione e la modernità.
La mattina del 1° settembre 1923, un terribile terremoto si abbatté su Tokyo. Dato che le strutture erano per la stragrande maggioranza di legno, bambù e carta, crollarono e molti antichi Kimono andarono persi o distrutti.
Nella seconda metà degli anni ’20, il governo ridusse la produzione di seta per supportare il mantenimento dell’esercito: di conseguenza, si iniziò a semplificare i motivi e a risparmiare sulle materie prime. La produzione riprese ad aumentare dopo la seconda guerra mondiale, ma oramai gli abiti occidentali avevano soppiantato i Kimono in quanto a popolarità. Gli ultimi rimasti e le loro varianti furono riservati alle cerimonie e alle occasioni speciali (per esempio i matrimoni), mentre i leggeri Yukata vennero destinati ai mesi più caldi.
Le decorazioni dei kimono divennero con il periodo Showa sempre meno complesse, i colori più tenui e la stoffa era economizzata. Dopo la seconda guerra mondiale, mentre l’economia del Giappone cominciava a riprendersi gradualmente, i kimono divennero sempre più accessibili ed erano prodotti in quantità più elevata. Dagli anni ’50 in poi, i motivi divennero sempre più stilizzati, mentre dagli anni ’70 si può notare un’influenza pop e geometrica. Inoltre, l’avanzare della tecnologia, utilizzata sia per il ricamo che per la stampa rese il kimono sempre più fruibile ed economico; inoltre, furono introdotti anche nuovi materiali sintetici, che resero i capi molto più resistenti e duraturi.
La maggior parte delle donne giapponesi moderne non indossa il kimono tutti i giorni, ma viene considerato ancora come una parte importante dell’abbigliamento. Oggi viene indossato principalmente per eventi o occasioni speciali (come la cerimonia del tè); ciononostante, passeggiando per le grandi città del Giappone, può ancora capitare di vedere una donna indossarne uno.

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